Il Culto di San Mauro Abate a Viagrande
Il Culto di San Mauro Abate a Viagrande
Incisione raffigurante la Gloria di San Mauro Abate di Cosimo Adamo, anno 1871
La storiografia sulle origini del culto di San Mauro Abate a Viagrande ha da sempre declinato le proprie argomentazioni a partire dalle tesi esposte da Salvatore Mirone nella sua nota Monografia Storica, nella quale viene asserito che: «la principal festa, la sola che sia rimasta fra le tante ch' erano qui in vigore, è quella di San Mauro. Il quale venne scelto or sono 200 anni per opera di un tal di Grasso sofferente di gotta, come tutelare e patrono di questo comune» (S. Mirone, Monografia Storica, Catania 1875).
Non ci è dato sapere da dove il Mirone abbia attinto le notizie circa le coordinate temporali concernenti l'introduzione del culto, sappiamo però che i riferimenti ai soggetti che lo introdussero vennero attinti dalla Notizia Storica della Pedara, redatta da Ludovico Pappalardo nel 1738, ove si dice che: «la principale festa [di Viagrande] è di S. Mauro Abbate patrono della terra, che si celebra a 15 gennaio. Nei tempi più sopra era S. Vito di cui vi è la sua chiesola; dopo fu eletto per tutelare e patrono S. Mauro per opera. devozione di un tal Dottore Grasso che pativa di dolori di podagra» (L. Pappalardo, La Notizia Storica, 1738).
Le piste di riflessione offerte dagli eminenti studiosi di storia patria appena citati, sono state per lungo tempo il punto di partenza della letteratura riguardante la storia del nostro paese. La compulsazione di nuove fonti primarie ha aperto nuovi scenari di studio sorprendenti che ci permettono di elaborare nuove ipotesi di ricerca. La prima è quella concernente il preciso frangente in cui la devozione al Santo benedettino sia stata introdotta nel nostro paese; Salvatore Mirone come abbiamo già riportato - la colloca nella seconda metà del XVII secolo, ma il ritrovamento di due importanti lettere redatte alla fine del XVI secolo ci permette di attestare senza ombra di dubbio che l'origine del culto sia più antica di quanto lo stesso autore pensasse. Nelle due missive, datate 8 e 10 gennaio 1600, i mastri d'opera della chiesa madre di Casalotto - antico toponimo di Aci S. Antonio - fanno ricorso al vescovo contro i colleghi della Chiesa Madre della vicina Viagrande i quali hanno intenzione di celebrare la festa di S. Mauro Abate il 16 gennaio poiché quell'anno cadeva di Domenica, proprio quando nel loro casale iniziavano le celebrazioni dedicate al patrono S. Antonio Abate. Il Vescovo in un primo momento accoglierà il ricorso dei "santantonesi" vietando ai viagrandesi di apportare innovazione alcuna intimandoli a celebrare la loro festa così come «da sempre è stato solito et consueto». Tale espressione comprova che la festa di S. Mauro era già consuetudine alla fine del XVI secolo confermandosi a pieno titolo la sua antichità.
La seconda analisi che stiamo per ricostruire è ancor più sorprendente della prima e riguarda quel detto dottore Grasso citato sia dal Pappalardo che dal Mirone, ma prima è bene aprire una parentesi. Il nostro Paese inizierà a svilupparsi come realtà autonoma a partire dai primi decenni del XVI secolo, infatti prima di questo periodo il toponimo Vie Magne non viene mai riscontrato nei documenti dai quali si evince che tra il 1540 e il 1560 la nostra contrada verrà sempre denominata come «qontrate Vie Magne seu di casali novo». In epoca medievale il nostro territorio faceva parte del vasto comprensorio della contrada di Trium Castanearum il quale era il risultato dell'unione di tante piccole borgate: S. Nicola, Gaglianesi, Viscalori e quella del Fondaco dell'Abate; quest'ultima - l'attuale zona tra San Giovanni la Punta e Viagrande - era molto importante da un punto di vista strategico perché costituiva l'ultimo avamposto del territorio di Catania prima di addentrarsi nel fitto e pericoloso bosco e nella grande strada - appunto la Via Magna - che conduceva a Messina. La contrada del fondaco dell'Abate, la cui esistenza viene per la prima volta segnalata nel XIII secolo dai documenti della Real Cancelleria di Palermo, prendeva il nome da un antichissimo fondaco fatto edificare nel XII secolo dall'abate-vescovo dell'abbazia di S. Agata di Catania, il quale serviva da ricovero alle carovane che affrontavano il lungo viaggio verso Messina o alle mandrie di bestiame che transumavano diretti verso i rigogliosissimi boschi di Mascali. Nel medioevo si inizio a stanziare in questi luoghi una piccola comunità di persone le quali si diedero da fare per costruire pure una piccola chiesa che avrebbe assicurato loro i bisogni religiosi. Questa chiesa è documentata la prima volta nel 1407 ed è denominata «la Nunciata di Tri Castagni nella qontrata dello fundaco di labbati». Sulla parete di questa chiesta, come racconta la tradizione, vi stava collocata una famosa epigrafe che riportava il seguente testo:
«ANNO SALUTIS MCXXIV TEMPORE ROGERI REGIS ET MAURITII EPIS. CATANÆ. HABITATORES NOVÆ
CONTRATÆ VIAEGRANDIS SACELLUM HOC CONDIDERUNT S. MARIÆ NUNTIATÆ IN FINIBUS REGIONIS ACIS».
Tralasciando il dibattito circa la storicità di questa epigrafe, bisognerà comunque asserire che nessun documento specifica di quale Abate si trattasse; la storia di Catania annovera solo due abati: il bretone Angerio, primo vescovo di Catania e Maurizio suo successore, che accolse le reliquie di S. Agata al ritorno da Costantinopoli. L'epigrafe, oltre a voler ribadire alcune verità la cui natura è di carattere giurisdizionale, volle pure fissare la memoria di questa antica tradizione, cioè che quel territorio era già abitato sin dal tempo del vescovo Maurizio: era lui l'abate proprietario di quell'antico fondaco. Gli antichi registri del fondo dei benedettini conservati presso l'Archivio di Stato di Catania, ci dimostrano che nel XV secolo questo fondaco era già in rovina; di quelle strutture restavano infatti una torre murata a cotto, case dirute e murate a crudo, due antiche cisterne, vigne e giardini di pere. La zona in cui convergevano i territori di Trecastagni, S. Giovanni la Punta e di Aci, divenne - proprio all'inizio del 1400 - quasi tutta di pertinenza dei benedettini di S. Nicola la Rena i quali iniziarono a lottizzarla e a concederla attraverso l'istituto giuridico dell'enfiteusi. Nel 1415 un appezzamento molto vasto di queste terre viene dato in concessione al notaio Antonio Scammacca di Catania che nel 1450 a sua volta le concede a Giovanni Grasso o per meglio dire a Giovanni Nicolò Grasso, lo stesso che nel 1427 aveva avuto da Re Alfonso d'Aragona la carica di Castellano di Aci. Questo ramo della famiglia Grasso è quello che si stabilirà nella zona acese, in particolar modo tra Aci Bonaccorsi e Viagrande, proprio all'inizio del XV secolo. II papà di Giovanni, un certo Nicolò Grasso, originario della città di Noto, sposerà Giovanna Bonaccorsi la cui famiglia è la stessa che in analogo periodo si era stabilita nelle nostre contrade, dal cui patronimo prenderà il nome, un secolo più tardi, la contrada delli Bonaccursi. A questo punto il quadro sembra ancora più chiaro considerando il fatto che nel Castello di Aci il culto di S. Mauro è già testimoniato sin dal 1425. Potrebbe essere lo stesso Giovanni o qualcuno dei figli quel dottore Grasso di cui la tradizione orale ne tramanda la memoria; i figli dello stesso li troviamo infatti come mastri d'opera della Chiesetta dell'Annunziata all'inizio del XVI secolo proprio nel medesimo periodo in cui per la prima volta viene utilizzato il toponimo Vie Magne. La nostra tesi è che il culto di S. Mauro iniziò ad essere celebrato nell'antica Chiesetta dell'Annunziata per devozione della famiglia Grasso che la resse per tanto tempo. In questo senso potrebbe spiegarsi il motivo per cui la processione della reliquia di S. Mauro, sino al 1811, partiva proprio da detta cappella. Anche se non abbiamo la certezza delle fonti, gli indizi portano proprio a queste conclusioni. Nel 1565 Mons. Nicola Caracciolo, Vescovo di Catania, accorda ai viagrandesi la fondazione di una parrocchia, con una giurisdizione territoriale propria. Da questo territorio viene però esclusa la chiesetta dell'Annunziata che era compresa nella giurisdizione di Aci. Con la costruzione della nuova Chiesa Madre intitolata alla Madonna dell’Itria, 1574, il culto verosimilmente venne spostato in quest'ultima cosi come avviene ad Aci Bonaccorsi per S. Stefano; il culto di una famiglia diviene così culto e devozione di una comunità.
L’Affetto che il nostro paese ha manifestato al proprio Santo protettore non è venuto meno neanche nei momenti più difficili della propria storia. Uno di questi fu senza dubbio il terribile terremoto che l'11 gennaio 1693 che colpì la Sicilia orientale e che con un'intensità pari a 7,5° della scala Richter è stato nella storia il terremoto più intenso mai registrato nell'intero territorio italiano.
L'evento causò nell'intera area un numero complessivo di circa 60.000 vittime e nella sola Città di Catania persero la vita più di due terzi della popolazione.
Anche il nostro paese fu ferito duramente: su una popolazione di circa 1400 abitanti le vittime furono circa 150; la Chiesa Madre finita di ampliare e completata nel 1687 andò completamente distrutta. Ma sentiamo gli storici del tempo che ci hanno lasciato un straordinario documento che si trova conservato negli archivi della sopracitata Chiesa Madre il quale espone nei più minimi particolari gli eventi drammatici di quei giorni.
“Nell’Anno 1693 prima indizione a 11 di Gennaro fu il terremoto e derocò tutta la macchina della Matrice Chiesa, e si fece in pezzi il qudro della Beata Vergine dell’Itria ed una cona sostenuta da quattro colonne scandellate sopra la quale vi era un grande cornicione, che ci si passiava di sopra quando era necessario di pararsi detta cona..”
Ma la singolarità di questo documento sta nel fatto che è una chiara testimonianza dell’attaccamento e della devozione che i viagrandesi del tempo mostrarono verso il proprio amato Patrono ed infatti, come si evince scorrendo le righe del manoscritto, invece di abbattersi davanti a quel disastro, trovarono la forza ed il coraggio di rinnovare la loro professione di fede e il loro atto di affidamento a San Mauro Abate celebrandone ugualmente, anche se con mezzi di fortuna, la festa liturgica che veniva a cadere proprio in quei giorni.
Doppo il terremoto che veniva a farsi la festa del Glorioso San Mauro Abbate, si fece nel cortiglio del loco delli Reverendi Padri Gesuiti che vi era fatta pochi anni innanzi una Chiesa al Glorioso S. Ignazio che anche si derocò e in detto baglio seu cortile si fece la festa al Glorioso S.Mauro ed celebrarci Messe dì quel miserabile modo che si pottè, et anche si ci portò il quadro della Beata Vergine della Concezione quasi tutto fracassato, remasto della Matrice Chiesa.”
Come abbiamo voluto fortemente rimarcare, il terremoto distrusse case e chiese, ma non la fede e la speranza di una comunità che con grande forza e tenacia si mise all'opera per sanare le ferite di quel tragico evento.
Come atto iniziale ci si diede subito da fare per riedificare la vecchia Chiesa
Madre. Ma se in un primo momento si preferì portare avanti l'idea della ricostruzione, in un secondo momento non fu più così, infatti, iniziati i lavori, si dovettero subito interrompere poiché tra la gente iniziava a nascere il desiderio di costruire una nuova Chiesa ubicata in una posizione più centrale e più accessibile a tutti. Dopo accesi e animati dibattiti, prevalse proprio questa seconda proposta: la nuova Chiesa Madre venne coì edificata ex-novo, più grande e più bella, proprio nel luogo dove la ammiriamo ancora oggi nel suo artistico e suggestivo splendore; il 6 gennaio 1712 con una grande celebrazione a cui partecipò tutto il clero e il popolo viagrandese ne fu posta la prima pietra mentre il 14 gennaio 1744, ben 51 anni dopo il terremoto, venne solennemente benedetta e aperta al culto con la celebrazione della prima messa. Altre date importanti da ricordare: nel 1864 viene costruita la cupola, nel 1924 viene ultimato il campanile che rese completo il prospetto della facciata, infine il 29 giugno 1986 viene solennemente consacrata dall’Arcivescovo di Catania Mons. Domenico Picchinenna.
Fonte: Don Giuseppe Guliti